Ascoltare i propri pensieri
dai crateri del Vulcano.
Da dove trae origine l’ispirazione per il nome “BUUM”?
Qual è il significato di questo termine per voi e per l’attività che svolgete?


Chi compone il progetto “BUUM”? In che modo il team riesce a esprimere di questo termine per voi e per l’attività che svolgete? La vostra identità e a rappresentare la missione che perseguite come gruppo di guide vulcanologiche?
Alessio, Daniele, Paolo, Mirko e Sammy: siamo una squadra di appassionati, montanari con decenni di inverni sulle spalle spalando neve, guide vulcanologiche con infinite camminate e ascensioni nel nostro zaino d’esperienze, accumulate sull’Etna, Pantelleria e le isole Eolie in primis, e molti altri viaggi in giro per il mondo tra Islanda, Francia, Sud America e Africa. La nostra casa base è il Rifugio Citelli, rifugio CAI situato a nord-est dell’Etna, ed è forse in questo luogo che il nostro progetto ha preso forma. Trovo difficile descrivere il nostro carattere identitario, essendo una squadra eterogenea e molto dinamica con background diversi, ma forse è questo dinamismo stesso il nostro punto di forza e di riconoscimento. Ci piace spiegare il nostro ruolo in alta quota, come società di accompagnamento e come rifugisti, semplicemente paragonandoci a dei “care – takers”, ci prendiamo cura in senso lato di un vulcano ed in senso stretto di un rifugio, cercando di spiegare le passioni e i motivi che ci spingono a farlo.

a nord-est dell’Etna
Come Guide Vulcanologiche abbiamo un compito, più che una missione: garantire l’avvici-namento e l’osservazione di fenomeni naturali fuori dal comune, pericolosi e per questo citati, studiati, disegnati e raccontati da sempre, rispettando determinati parametri di sicurezza, e prendendoci la responsabilità delle nostre scelte in un contesto dove il rischio zero semplicemente non può esistere.


Qual è stata la motivazione che ha alimentato la vostra passione nel diventare guide sull’Etna? Cosa vi ha spinti a intraprendere questo viaggio? Qual è l’aspetto più gratificante del vostro lavoro di guida vulcanologica?
La voglia di tornare a casa per alcuni di noi, la voglia di rimanerci con dignità e coraggio per altri. Il coraggio, non banale nella società di oggi, di fare un mestiere che davvero ti motivi ad alzarti tutti i giorni. Qualcosa che ti faccia sentire a tuo agio, senza rimanere incastrati e intorpiditi in mestieri d’ufficio (troppo difficile stare seduti in una stanza!) guidati da quella passione per la natura, i vulcani, l’aria aperta, l’avventura in un certo qual modo. La sfida poi è far convivere passione e professione, senza confonder-le.
Il viaggio lo inizi, da solo o con qualcuno, quando trovi una meta comune. Focalizzato il dove volevamo arrivare è stato davvero semplice capire il come: qualità nell’accompagna-mento svolto, trasmissione di conoscenze, non in maniera unilaterale ma reciproca.
Incontrare ogni giorno “pezzi di mondo“, calamitati da noi grazie ad uno spettacolo naturale unico, ti fa viaggiare molto di più e con molta più attenzione rispetto ad un fine settimana a Londra o Berlino.

Come guide poi siamo un po’ in antitesi rispetto al viaggio stesso: siamo innamorati di un luogo e facciamo fatica ad allontanarcene, ma siamo cresciuti nel mito del viaggio, quello per eccellenza: il Grand Tour, quando la Sicilia ed i suoi vulcani rappresentavano l’apice di un viaggio che durava anni, che necessitava di tempo e di motivazioni profonde.

Sulla scia di quei primi locali, a metà fra una proto-guida esperta del territorio ed un bodyguard per i numerosi briganti, si colloca il nostro mestiere di Guida Vulcanologica. L’aspetto più gratifcante del nostro mestiere è dato da certi abbracci, certi occhi lucidi che ti ringraziano e non dimenticano: quando capisci che tu sei stato il loro viaggio, allora hai vinto.

Cosa vi emoziona di più dal punto di vista scientifico riguardo all’Etna e ai vulcani in generale? Qual è il dettaglio più sorprendente sull’Etna che non tutti conoscono?
La geologia è una scienza giovane: alcuni di noi sono geologi, vulcanologi in erba con collaborazioni di diverso tipo con l’INGV, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia eppure, la passione che accomuna tutti noi deriva da quel “Wo»” che ci scappa ogni qual volta ammiriamo un’attività effusiva, un parossismo o una particolare forma del plume vulcanico con lo stesso stupore, inspiegabile. Solo da un secolo scarso stiamo cercando di motivare determinati meccanismi eruttivi ed attività conseguenti, ed è davvero più semplice parlare della superficie di Marte piuttosto che di quello che succede a pochi km sotto i nostri piedi. Paradossalmente, lo specifico, il piccolo cristallo, la colorazione di una determinata roccia trova spiegazione, mentre il generale, il macro, emoziona perché ancora oggi non ha spiegazione: la localizzazione dell’Etna, per esempio, nel contesto geologico mediterraneo, non ha senso, è fuori norma. L’Etna si trova in un punto dove normalmente non si formerebbe mai un vulcano. La nostra passione deriva da quest’inspiegato.

La manifestazione vulcanica eruttiva, quindi la fuoriuscita di magma dalla Terra, è di per sé il dettaglio più affascinante da osservare e studiare: capire come e perché questo avvenga è l’aspetto che più ci attrae.
È difficile immaginare come funziona un’eruzione, perché a volte è di carattere esplosivo, altre effusivo, laterale o subterminale. Il tutto non dipende solo dalle caratteristiche del magma e del vulcano che lo erutta, ma anche da tutto quello che accade intorno ad esso, dalla sua genesi alla sua fuoriuscita. Il magma infatti, durante il suo processo di risalita dal mantello verso la superficie, attraversa un sistema articolato di faglie e fratture presenti nella crosta terrestre e al di sotto del vulcano stesso, facendosi strada laddove gli è più agevole: se le forze che agiscono intorno ad esso lo bloccano, ad esempio non trova più spazio nelle fratture perché sono state letteralmente serrate da forze compres-sive, si ferma o cerca punti deboli dove poter proseguire la sua corsa cambiando nel frattempo le proprie caratteristiche chimico-fisiche (pressione, temperatura, viscosità, etc.).

Questa ricerca spasmodica di spazio, all’interno della crosta terrestre, da parte del magma è interessantissima sia per l’inesplicabilità di alcuni meccanismi, e sia per la velocità con cui spesso accadono. Ecco, il non sapere cosa esattamente e come avvengano questi meccanismi di spinta, questo carattere misterioso, ci attrae.
La Geodinamica, è in fondo la scienza dell’ipotesi.
Quali storie o tradizioni legate all’Etna ritenete significative e come arricchiscono l’esperienza dei turisti? In che modo il vostro lavoro di guide contribuisce a preservare e sensibilizzare i visitatori sulla cultura del vulcano? Cosa significa per voi lavorare in un ambiente così dinamico e in
continua evoluzione?
L’Etna rappresenta il sistema vulcanico più raccontato, citato, trascritto e legato ad aned-doti, storie e racconti del bacino mediterraneo e quindi del continente. Da Plinio il Vecchio fino a Guy de Maupassant o Dumas, ogni racconto, storia o descrizione seppur sommarie o circoscritte ad ambiti specifici, ha contribuito a fare arrivare fino a noi una cronostoria precisa di diversi eventi eruttivi nel corso degli ultimi 2000 anni. In ogni ambito del sapere umano, spesso indirettamente, l’Etna si è mostrata presente: dalla scienza ma anche in ambiti apparentemente lontani come la Filosofia, l’arte o la cucina.
Il ruolo di noi guide sta nel riuscire a fare da legame, da ponte, tra ambiti diversi senza sostituirci ad un geologo, uno scienziato o un vulcanologo: pur avendo nozioni approfondite per comprendere il contesto geo-dinamico, il nostro lavoro è un altro. Sensibilizzare, centellinare spesso le informazioni permettendo al fruitore di godere pienamente della sua visita dandogli le giuste chiavi di lettura, questo è il nostro focus, senza dimenticare la sicurezza durante tutto l’hiking proposto, senza la quale verrebbe a mancare ogni altro aspetto.
Entrando più nello specifico, la Guida Vulcanologica ha una valenza culturale ben diversa da ogni altro suo collega in ambito montano: non perché raccontare storie, aneddoti o tradizioni dell’ambiente alpino o dolomitico sia meno importante, ma perché in Sicilia manca una cultura del vulcano propriamente detta, bisogna cominciare quasi da zero. Tutto questo si ricollega all’antropico e al suo rapporto con la natura; chiedendo ad un bambino, che abita una qualunque valle persa nella catena alpina, il nome di una specifica vetta saprà, quasi per certo, indicarvi nome e altitudine; se provate a fare lo stesso gioco in centro città a Catania, il risultato sarà ben diverso. Quanti saprebbero dirvi con certezza quanti crateri si trovano sulla cima dell’Etna? Questa mancanza di cultura del vulcano è alla base del nostro lavoro e rappresenta al tempo stesso la sua più grande sfida, la più grande criticità.


Una sorta di retaggio cattolico, rimasuglio di epoche in cui sul vulcano “non c’è niente da fare, che ci sali a fare, è pericoloso” che hanno determinato un lassismo culturale tipicamente meridionale che comporta una noncuranza assoluta nella frequentazione dei luoghi. Intercettare queste mancanze e provare a colmarle è la sfida più grande del nostro lavoro.
Infine la dinamicità dei luoghi che frequentiamo: è emozionante, ti colloca con esattezza nello spazio e nel tempo. Dà forma ai tuoi problemi e al tuo quotidiano, rendendolo, se non insignificante rispetto all’immanenza della natura, quanto meno contestualizzato.

Chi è Bùum?

Oltre tutto quello che avete letto, vi lasciamo questa frase da un Post Instagram di Bùum: “E l’Etna è sempre là. Nella sua calma solenne, come una belva assopita, tace serbando dentro la sua ira ai futuri. Il nero campo di lava su cui sorge è un cimitero immenso, sotto il quale giaccion sepolti campi, foreste, paesi; e sulle reliquie del passato, gli audaci e dimentichi pigmei umani vivono, crescono,
si agitano, sicuri e baldanzosi dell’avvenire. E l’Etna, ammantata di neve, brilla al sole, e fuma maestoso nell’azzurro, come ara immensa, innalzata e accesa alla diva Natura, eterna e pazza dispensatrice di fiori e fulmini. “
– Carlo del Lungo, 1894