Prima Uscita / “Ylenia Racconta…” x COLLAB

AAA cercasi moleskine nel taschino destro del Barbour radical-chic allaTom Wolfe, non lavato dal ‘06



Da quando si è smesso di usare le moleskine?

Ricordo dai miei quattordici anni in poi di averne collezionato miriadi, sempre nere, rigide a righe con l’immancabile elastico intrappola sogni:
scontrini, locandine, manifesti No Ponte, No Muos, No Tav; citazionismo alla Violet Trefusis, Gabo, Benni e qualche riflessione sugli amori mancati del momento, gli amori platonici della mia vita. Qualche stecco di incenso Nag Champa fra le pagine,


petali, chiavi di non so quali porte attaccate con lo scotch, pezzi di cortecce e sparpagliato qua e là qualche verso come quelli di Alessandra Racca in L’amore non si cura con la citrosodina:

Non ricordo quando ho smesso di scrivere con le pilot nere e sono passata all’inchiostro digitale in un odierno Macintosh. Nell’era del metaverso arriveremo a non sapere cosa siano le penne a sfera come in quell’episodio di Fringe

Siamo iperconnessi ma irrimediabilmente soli, esposti a massicce dosi di informazioni al secondo ma analfabeti funzionali: cosa è accaduto al nostro modo di pensare, cosa è cambiato in questo passaggio o meglio in questa mescolanza di analogico a/e digitale? 

Siamo esseri “datificati”, sin dalla nostra nascita e forse anche prima, i nostri desideri, i nostro gusti, le nostre esperienze e sogni vengono datizzati, ovvero trasformati in byte (tramite social, app, web) e la nostra individualità fagocitata da omologanti tirannie algoritmiche. Viviamo di Fomo più che di Date, di virtuale più che di reale, digitalizzando la nostra intera esistenza rischiamo di perderci in una cyber-sorveglianza più che a ritrovarci nell’auspicabile libertà cyborg di cui scrive Donna Haraway nel suo manifesto

(Per approfondimenti sul sé datificato rimando all’articolo)

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/la-principale-conseguenza-iperevolutiva-dellarivoluzione-digitale-lesistenza-datificata

Mi presento?

Sono YleniaDesiree Zindato, donna, cisgender, etero, madre, amica, sorella, compagna; ma anche uomo, non binario, omo, padre, compagno, in sostanza queer, oltre i dualismi e le dicotomie di naturale/culturale, edipico/nonedipico, binario/nonbinario, per ri-citare la Haraway. Dopo una laurea in Filosofia e Storia (Unime) e una specialistica in Filosofia Contemporanea con una tesi su Merleau-Ponty e la fenomenologia della percezione e l’embodied cognition; e svariati anni di lavoro dietro le quinte di una meravigliosa compagnia teatrale (Mana Chuma Teatro), ho deciso di aprire una newsletter: ci ritroveremo qui, nel magico mondo Etimologia, ogni 15 del mese, con un po’ di divulgazione, stand up, filosofia, femminismi, stream of consciousness; e naturalmente consigli di lettura ma anche consigli d’acquisto, o di serie tv, podcast, film e magari anche consigli di vita del tipo <<perché è preferibile divorziare piuttosto che portare pazienza sulla misoginia e sessismo dell’uomo moderno, che finge avanguardia ma in verità snocciala solo mansplaining.>>

A quale titolo? Assolutamente nessuno, non so niente e non sono nessuno: spero solo di tenervi compagnia seguendo il gusto personale del momento; e a proposito di gusti, non me ne voglia Pasolini, ma nell’era del consumismo tutti hanno una loro personalissima wishlist: scroll di cose infinite che metti in carrello senza sapere se potrai comprarle mai, ma nutrendo sempre la speranza che in futuro tu possa permetterti una tshirt a righe MiuMiu in stile Margot Tenenbaum

Cosa ho letto 

Questa estate alla casa al mare priva di plasma ma anche di tubo catodico, sono riuscita a leggere qualche libro in più (rispetto ai miei bassi standard di lettrice lenta che ad ogni modo un duenne in giro per casa continua ad abbassare) fra cui Il bikini di Sylvia Plath edito Nottetempo della mia beniamina Giada Biaggi di cui qui vi lascio la mia personalissima recensione e forse un non-consiglio a leggerlo

Chi mi conosce sa quanto io ami, veneri, stimi, ammiri Giada Biaggi e il suo lavoro pazzesco sulla parola e la messa in scena. Eppure perché non amo altrettanto le protagoniste anti-eroine dei suoi romanzi?

Donne meravigliose, intellettualmente pazzesche, che vivono in funzione della droga e del messaggino pornografico del Ludovico di turno, maschi che dietro la parvenza di uno pseudofemminismo intersezionale nascondono una misoginia radicata e “un patriarcato negazionista”. E una cosa che mi manda ai matti e non riesco a non continuare a pensare a quanto il genere maschile, il sesso, la vita di coppia e l’amore romantico siano maledettamente sopravvalutati! Comunque escluso il sesso, l’autoerotismo esasperante e la cocaina (la droga che reputo più anti-estetica in assoluto, anche se pippata sulla copertina di Concetti fondamentali della metafisica

Mondo finitezza solitudine edito II Nuovo Melangolo), è un bel libro, scritto da Dio, se Dio si facesse.

E invece uno che ho amato è Marie aspetta Marie edito Adelphi della penna francese – recentemente  scoperta grazie al podcast di Francesca Laureri #ilibrididomencia – e autrice interessante Madeleine Bourdouxhe, che sedeva insieme a Simone De Beauvoir al Cafe de Flore, studiosa e appassionata di filosofia, 

“Ama le mani che comprendono il linguaggio degli oggetti immobili, quelle che sanno parlare alle cose vive. E ama la mano che si posa su una spalla e la stringe, e quelle che incorniciano un viso e raccontano la ridondanza del cuore molto meglio di qualsiasi parola d’amore.”

Marie cerca Marie. La aspetta all’angolo della strada, la attende sui gradini di una pâtisserie, la vede nella se stessa di dieci anni prima: la Marie dai riflessi ramati, studentessa alla Sorbona e i grandi sogni per l’avvenire. La Marie di adesso, sull’uscio dei suoi trentanni, un marito precoce, una casa di cui occuparsi, un figlio mai avuto ma a cui pensa, e una sorella che vuole solo dormire e dimenticare il suo Armand. E mentre affoga nella nostalgia dei suoi non può essere più, uno sconosciuto le lascia un biglietto con su scritto qualcosa. Cosa farà la nostra Marie, nei margini di questo possibile?

“Rileggeva le frasi brevi, senza verbi, abituali fra loro nello scriversi. Periodi tronchi, sempre sottili allusioni a discorsi fatti, carichi di significato. La vita è realtà, non ammette l’immaginazione. Penso a un libro che amo e che si conclude cosi: Attenzione ai gradini.”

Nel carrello acquisti di oggi troviamo dei comunissimi, mainstream, glitterati patchwork occhi a base di collagene, e poco importa se di origine bovina o vegetale, perchè anche se non è specificato, per un cifra populista come otto euro perdoniamo tutto, soprattutto se promettono la fine delle occhiaie e la bellezza eterna. So cosa state pensando <<davvero per la tua primissima newsletter vuoi parlare di skin care? Sì perchè la skincare è uno stato interiore: l’utilizzo dei patch è inversamente proporzionale alla qualità dell’umore; più sto a terra e più utilizzo maschere in tessuto cheap – pur sognando sieri Miamo – illudendomi che così facendo riprenderò il controllo su me stessa e la mia vita, senza dover pensare almeno per un momento alla tirannia del dover cucinare tutti i giorni, due volte al giorno, con tutta la pulizia lavabo/fuochi che ne consegue, senza premi ne stipendi o anche solo un grazie per questo, e meditando di cercare sassi per infilarli nelle tasche e seguire le orme della guru femminista Virginia Wolf.

La skincare, non necessariamente coreana – siamo all inclusive e accettiamo qualunque nazionalità purchè ci venda l’illusorio sogno americano che anche senza filler saremo bellissime – è la mia pratica e personalissima terapia salta-suicidio.

Se sei arrivato/a fin qui non so come dirti graziee se ti va lascia un like, un commento, segui Etimologia e condividi il nostro lavoro. Il tuo supporto è per noi importante. 

Ça va sans dire, ci si becca il 15 novembre 🙂

Y.